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Mark Jenkins – Il regista urbano

Ciak, azione! Roma, un pomeriggio assolato. Un uomo in felpa trasporta un manichino vestito di tutto punto sotto braccio. Lo infila in un cassonetto. Spuntano fuori solo i piedi con due graziosi calzini a righe. L’uomo si dilegua. Ha inizio lo spettacolo.

Mark Jenkins non viene da un quartiere difficile di New York né da studi artistici. Piuttosto, si laurea in geologia in Virginia. Un giorno, gli viene in mente di fare esperimenti con lo scotch. Si ricorda di un gioco che faceva da bambino: avvolgere di scotch le matite e poi sfilare via la superficie trasparente al contrario ottenendo una replica, vuota, dell’oggetto. Comincia ad avvolgere gli oggetti che trova in casa: matite, penne, pentole. Poi prova ad avvolgere se stesso. Si rende rapidamente conto che quello strumento così semplice era in grado di riprodurre qualsiasi tipo di forma, di dare vita a vere e proprie sculture da plasmare a suo piacimento. Prima inizia a creare piccoli personaggi modellati sulle bambole, poi crea persone a grandezza naturale. Sedute, in piedi, accucciate, distese. I suoi amici diventano i modelli per repliche vuote che assumono vita propria indipendente dal corpo che li ha generati.

Mark inizia a giocare con questi corpi vuoti, a vestirli, a dargli un’identità, e a posizionarli in punti strategici della città per vedere l’effetto che avrebbero provocato sui passanti. Effettivamente, così vestite, con scarpe, jeans e felpa, con parrucche o incappucciate, queste figure sono estremamente realistiche, e catturano subito lo sguardo di chi ci passa a fianco provocando un iniziale straniamento e sbigottimento. Che ci fa un uomo riverso nel fiume? Una ragazza che si dondola su un’altalena giù da un ponte? Un uomo che sbuca da un cestino o che pesca in una fontana?

Dopo un invito da parte di Banksy ad un’esposizione collettiva a Londra, la sua carriera decolla. Le sculture di Jenkins sono veri esperimenti sociali, la strada diventa il palcoscenico, gli ignari passanti gli attori. Si osservano le reazioni più disparate, più la scultura è disturbante, più le persone reagiscono irrazionalmente e senza controllo. Ed è proprio questo che interessa a Jenkins: rompere la monotonia della vita quotidiana, scioccare il passante e spingerlo a comportarsi in modo autentico e non conformista.

Il vero messaggio dietro la maggior parte delle sculture di Jenkins è sociale o politico. Il loro scopo è suscitare spunti di riflessione su molteplici temi, che spesso riguardano l’emarginazione, la salute mentale, il cambiamento climatico o le contraddizioni della società contemporanea. Questi soggetti sono così potenti nello loro intento perché tridimensionali, attirano la nostra attenzione perché catapultati in una quotidianità che viaggia sempre di più sulle due dimensioni dello smartphone. Certo, ci colpiscono anche perché disturbanti e a volte grotteschi, ma, dopotutto, l’humor nero nasce in tempi bui.